L'allevamento di gamberi e gamberetti ha alle spalle un mondo fatto di sfruttamento minorile, violazione dei diritti umani e inquinamento ambientale
Quando si parla di sostenibilità dei prodotti alimentari e della loro industria, il pensiero corre subito agli allevamenti intensivi di suini, bovini e ovini, e anche di pollame. Non sempre si pensa al fatto che anche certi settori dell'industria ittica presentano enormi costi, sia in termini ambientali che di sfruttamento della manodopera. Ecco, ad esempio, qual è la situazione per quel che riguarda l'allevamento di gamberi e gamberetti.
Gamberi, gamberetti e scampi sono alimenti molto prelibati, amati per il loro gusto delicato e apprezzato anche da chi solitamente non ama il pesce. Noi italiani in particolare ne andiamo pazzi, essendo il terzo Paese importatore d’Europa.
Ogni volta che mangiamo un cocktail di gamberi, però, dovremmo essere consapevoli di tutto quello che c'è dietro la commercializzazione di questi crostacei.
I maggiori Paesi esportatori di gamberi e gamberetti sono Cina e Thailandia, insieme a Indonesia, India, Vietnam, Brasile, Ecuador e Bangladesh.
In questi Paesi l'allevamento e la commercializzazione di queste specie ittiche comportano costi esagerati in termini di sfruttamento minorile, danno all'ambiente, violazione dei diritti umani e disatri ambientali.
Parte del prodotto viene pescata con il sistema delle reti a strascico. Come ormai è noto, questa tecnica ha lo svantaggio di depauperare i fondali marini, rendendo di fatto estremamente difficile, se non impossibile, il ripopolamento della fauna ittica.
L'altra parte del pesce esportato però viene allevato attraverso un sistema detto acquacoltura. Per realizzare gli stagni dedicati all'acquacoltura è necessario requisire ampi tratti di mare costieri, attraverso la distruzione delle foreste di mangrovie.
Le mangrovie sono alberi acquatici la cui presenza è fondamentale per la sussistenza dei litorali. Infatti, proteggono le spiagge dalle onde e dalle maree, oltre a costituire una barriera anche contro i venti. L'abbattimento delle foreste di mangrovie causa un netto impoverimento di queste zone, tanto più che di solito le aree dedicate all'acquacoltura vengono abbandonate dopo pochi anni.
Si calcola che, ad esempio, in Ecuador sia stato distrutto circa il 70% delle mangrovie che vi erano un tempo, mentre in Thailandia il 60% dei siti che erano stati destinati all'allevamento dei gamberi sono ormai stati abbandonati.
Ma non è tutto: da considerare anche l'inquinamento causato dall'uso dei pesticidi, insieme alla progressiva salinizzazione delle acque dolci. Inoltre, viene turbato anche il delicato equilibrio della fauna marina a causa dell'eccesso di nutrienti che viene disperso in mare.
La distruzione dell'ecosistema è già una conseguenza sufficientemente grave dell'allevamento dei gamberi e dei gamberetti, ma c'è anche dell'altro.
Fin qui abbiamo parlato dei danni a livello ecologico e ambientale: ma ce ne sono anche a livello di sfruttamento umano. Un'inchiesta de The Giuardian ha messo in luce come questa industria viva sulla pelle di immigrati provenienti da Birmania e Cambogia, comprati e venduti come animali e tenuti con violenze e minacce sui pescherecci Thailandesi per permettere ai supermercati occidentali di vendere scampi e gamberetti a basso costo.
I gamberetti sgusciati sono spesso il prodotto di lavoro minorile, con realtà in cui i bambini vengono costretti a lavorare ore ed ore senza nessuna adeguata tutela e senza poter godere di alcun diritto.
Dai dati del Labour Rights Promotion Network il numero di minorenni impegati nel settore sono in aumento: il 19% ha meno di 15 anni, mentre un altro 22% è tra i 15 e 17 anni.
Questi bambini vengono impiegati su pescherecci o in capannoni sporchi e putridi, esposti a sostanze chimiche privi di tutele e cure mediche. Sono alla mercé di caporali che gli requisiscono i documenti per tenerli in pugno e costringerli a sgusciare gamberetti per 12 ore al giorno!
Il commercio di gamberi e gamberetti rappresenta una voce di mercato decisamente florida. I crostacei costituiscono un quinto del mercato ittico internazionale; ogni anno vengono prodotti 3,4 milioni di tonnellate di gamberi e gamberetti e l'Italia è al terzo posto come Paese importatore in Europa.
Si capisce allora come, nonostante le numerose denunce mosse anche da giornali importanti, come The Guardian, ben poco sia stato fatto negli ultimi anni. Sulla scia delle richieste di associazioni umanitarie e ambientaliste come Slow Food e la Environmental Justice Foundation, alcune catene della grande distribuzione avevano promesso che avrebbero preso i dovuti provvedimenti. In realtà, però, nulla è cambiato in materia di produzione e commercializzazione di gamberi e gamberetti.
Tra l'altro anche per il consumatore non ci sono molte possibiltà di scelta per evitare il danno ambientale e umano, se non quella di non acquistare crostacei o almeno non acquistarli se provenienti dall'Asia. “Se acquistiamo scampi e gamberetti provenienti dalla Thailandia, tanto più se sono sgusciati, compriamo qualcosa che è stato prodotto rendendo schiavi degli esseri umani” ha dichiarato Aidan McQuade, direttore di Anti-Slavery International.
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